Ineluttabile come ogni anno giunge il 6 Aprile. Quattro anni da quando la faglia che corre per chilometri lungo la traccia Paganica-Roio, dopo mesi di sciame sismico, scarica alle 3:32 un’impressionante energia, pari a 6.3 magnitudo momento. Ancora una volta, come già accaduto almeno altre quattro volte nella storia dell’Aquila, un’intera comunità deve far fronte ad un’emergenza colossale: città e comprensorio completamente danneggiati, crolli diffusi, oltre 300 morti (55 universitari fuori-sede), migliaia di feriti, 100.000 sfollati. Era già accaduto nel 1315, nel 1349, nel 1461 e nel 1703, tralasciando altre scosse di minore intensità nel corso dei secoli (ma comunque problematiche). Il terremoto non è uno spartiacque per la Città dell’Aquila.
Il 6 Aprile 2009, così come nei sismi passati, L’Aquila non è morta, né è nata una nuova Città. Il terremoto è un evento di un “continuum”, e questi è la storia di una Città, con la sua gente, la sua architettura, le sue piazze, i suoi quarti. Ed è solo mantenendo viva la memoria storica, ripercorrerla, discuterne, analizzarla che è possibile pensare/ripensare una Città che offra servizi, possibilità, futuro, che sia a misura di cittadino, di studente, di studente-cittadino. Dopo quattro anni sono troppe le scuse, i nascondigli, gli scaricabarile. La Città dell’Aquila, oggi, sta progressivamente dimenticando se stessa, e le Istituzioni fanno a gara nell’incapacità di amministrazione e progettazione attraverso la cultura storica. Fabrizio Barca, ministro per la Coesione territoriale incaricato dal Governo Monti per la ricostruzione del cratere sismico, ha più volte sostenuto la presenza di fondi certi per gli interventi da adoperare nel Capoluogo e nel cratere. Fatto sta che l’annunciato avvio dei lavori per il 21 Marzo si è rivelata soltanto un’ennesima frase impropria e avventata.
Nell’ultima visita a L’Aquila il ministro ha affermato che adesso lo Stato può erogare i fondi, visto che il Comune ha finalmente stilato un cronoprogramma per la ricostruzione del centro storico e delle frazioni, più il completamento delle periferie. Ma come avverrà questo “finanziamento”? Sarà a pioggia o a flusso continuo, magari con la reistituzione della Cassa Depositi e Prestiti? E soprattutto, ci sono oppure no i 10 miliardi necessari? Il Sindaco Massimo Cialente, piuttosto che esprimersi nel merito, afferma che “o lo Stato ci dà i soldi, oppure ci proclamiamo Repubblica indipendente, mandiamo via il Prefetto, rinunciamo al Tricolore” ed altre amenità, facendo quasi impallidire la pagina facebook satirica a lui dedicata, “Cialente in preda a deliri mistici mentre pedala un mezzo improbabile”.
L’Aquila, oltre ad avere un centro storico abbandonato (uno dei più grandi e più ricchi di storia del Paese) dove solo dopo 4 anni la Giunta Comunale riesce ad approvare il cronoprogramma per la sua ricostruzione, ha le poche strade del centro aperte al passaggio pedonale completamente lasciate al caso, con illuminazione che va e viene (frequenti le notti di buio pesto), impudicizia, incuria; ha i quartieri periferici senza uno straccio di servizio, strade dissestate (in alcune ci sono ancora le rotaie della metro di superficie mai entrata in funzione), vegetazione quasi amazzonica, senza nemmeno l’ombra di un possibile quadro di riqualificazione urbana; ha i quartieri del Progetto C.A.S.E., sorti per dare un tetto agli sfollati post-sisma, lasciati completamente al proprio destino, senza servizi né collegamenti con il cuore della Città, e come se non bastasse chi ci vive ha dovuto anche ricevere nelle scorse settimane delle bollette folli da parte del Comune su presunti consumi di utenze, rivelatesi poi fallaci e da rifare; ha un patrimonio come l’Università e i suoi studenti visti quasi come un “fastidio”, quando invece – ora come allora – l’Ateneo è la prima risorsa per questo territorio, e non può non esserlo anche in futuro.
Già, l’Università: forse l’unico Ente che dai primissimi giorni si è rimboccato le maniche e si è rimesso in piedi, nonostante tutti gli edifici inagibili e il tentativo di “accaparrarsi” i corsi di laurea da parte di altre città (Pescara, Avezzano). Ma sia il Comune, sia la Regione si sono spesi molto in parole e promesse, ma pochissimo nei fatti. Sul diritto allo studio la Regione Abruzzo ha troppo spesso dimostrato di non sapere nemmeno di cosa stesse parlando: ne sono la prova la totale assenza da oltre due anni di una mensa per gli studenti di Scienze Umane e lo stato di degrado in cui versa il Polifunzionale presso il Polo di Coppito, una struttura fondamentale per l’Ateneo che accoglieva in precedenza mensa e sale studio. Il Comune dell’Aquila non ha in alcun modo incentivato la ripresa dell’Università, la sua funzione di rilancio dell’intero territorio. Basti pensare che il Sindaco ha intenzione di riconsegnare l’ex Caserma Campomizzi, ora casa dello studente con ben 400 posti letto pubblici, al Ministero della Difesa, come se una Caserma militare oggi possa giovare di più di un Campus Universitario all’interno della città e adiacente al centro storico da ricostruire/ripensare.
O ancora, a tutt’oggi non c’è un piano comunale per i trasporti urbani: la città si estende ormai per 30 km con effettive distanze tra le varie zone, ma un’idea di adeguato servizio pubblico di trasporto non passa neanche per la testa dei “sedicenti” amministratori, tanto che da poco diverse associazioni (Udu – Unione degli Universitari, Cittadinanze L’Aquila, Giovine L’Aquila) hanno lanciato una petizione cittadina per imprimere una svolta su questo tema. Nel mio piccolo, continuo con il mio impegno civico a mettermi a disposizione di chi ha davvero a cuore le sorti di questa Città e di questo territorio, tenendo ben presente che solo affondando le radici nella memoria storica ma allo stesso tempo guardando avanti è possibile far fronte alle numerose esigenze di cui L’Aquila ha urgentemente bisogno, oggi e negli anni a venire: perché una gestione approssimativa, superficiale, latente e di conseguenza una comunità depressa e sfiduciata fanno molto, molto più danno di qualsiasi catastrofe naturale.
Roberto Naccarella
Ex studente vastese, oggi lavoratore, a L’Aquila