“Più imprese turistiche e commerciali, meno società di costruzioni e aziende agricole. Negli scorsi dodici mesi le imprese italiane hanno accelerato il ritmo di crescita e raggiunto quota 6 milioni 57mila unità. Questo grazie a 372mila nuove iscrizioni che hanno più che compensato le 327mila cancellazioni con un saldo, quindi, di 45mila imprese in più. Dopo sette anni di crisi (interrotti dalla breve fiammata del 2010-2011), lo scorso anno il tessuto imprenditoriale ha visto un ritorno del ritmo di crescita delle imprese ai livelli pre-crisi del 2007 (+0,75%). È il profilo dell’imprenditoria italiana, alla fine del 2015, come emerge dall’analisi dei dati ufficiali sulla natalità e mortalità delle imprese, diffusi da Unioncamere – InfoCamere“. Questo il quadro generale tracciato in una recente analisi de Ilsole24ore che rileva incoraggianti segnali di crescita, con qualche eccezione: “A livello territoriale, con l’eccezione della sola Basilicata, tutte le regioni fanno meglio del 2014, incluse quelle che anche nel 2015 continuano a registrare saldi formalmente negativi (ma statisticamente insignificanti): oltre alla stessa Basilicata si tratta di Marche, Piemonte, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia. Allargando il perimetro dell’analisi, in tutte e quattro le grandi macro-aree del Paese il tasso di crescita del 2015 presenta risultati positivi e migliori rispetto al 2014, con il Nord-Est che (dopo quattro anni) esce dal campo negativo e torna a segnare un allargamento della base imprenditoriale. Tra le regioni, il Lazio si conferma quella più dinamica, con un tasso di crescita pari all’1,7% in lieve rallentamento rispetto al 2014 (quando era cresciuta dell’1,8%)”.
Anche l’Abruzzo, quindi, tra le regioni in crescita, anche se l’analisi dei dati per provincia rileva un dato significativo: il saldo attivo è dovuto eslusivamente al dato di Pescara (+406, con una crescita del 1,120%); saldo negativo per tutte le altre province: Teramo in lieve flessione (-17, con una decrescita dello 0,050%); flessione più consistente in provincia di Chieti (-106, con una decrescita dello 0,230%) e L’Aquila fanalino di coda (-150, con una decrescita dello 0,490%). Insomma, se l’Abruzzo non è annoverata tra le regioni che non crescono, lo deve sostanzialmente alle aziende del pescarese. D’altra parte, con la crisi in Valsinello e la chiusura degli stabilimenti della ex Golden Lady e del pantalonificio Canali, sarebbe un ottimismo difficilmente giustificabile agli occhi delle tante persone che più o meno recentemente hanno perso il posto di lavoro. Rimane da capire perché nel resto d’Italia le aziende aprono, mentre in provincia di Chieti e L’Aquila (senza contare Teramo, la cui flessione è tutto sommato contenuta) chiudono.