Sette anni. Una scadenza che può rappresentare tante cose. La fine del mandato naturale di un Presidente della Repubblica, ad esempio. Oppure la classica e temutissima crisi di coppia. O ancora, rifugiandoci nella scaramanzia, la fine di tanti guai per la sola colpa di aver rotto uno specchio. Di sicuro, il ‘settennato’ è storicamente un periodo ben definito. Alla fine del quale è giusto tracciare un bilancio, trarne delle domande e delle risposte. Definirlo, sviscerarlo, analizzarlo.
|La fiaccolata del ricordo nel settimo anniversario [LEGGI]|
Mentre scrivo dalla mia camera da letto in Via Penne 4, sento già il traffico che aumenta, elicotteri, ‘rumore’. Il solito tran-tran che accompagna l’ennesimo anniversario di quella notte funesta, di quello scuotimento selvaggio che infuriò sulla città dell’Aquila e sul suo territorio, distruggendo vite speranze, sogni. Distruggendo tutti noi. Il settimo anniversario, appunto. In questi 7 anni il centro storico dell’Aquila è cambiato continuamente. E continua a cambiare. Massacrato, chiuso, puntellato, leggermente riaperto, riaperto, qualche cantiere, molti cantieri e qualche palazzo ristrutturato che riemerge in tutto il suo splendore.
Sono arrivato qui da universitario, ci sono rimasto da lavoratore una volta laureato. Provo un enorme felicità nel vedere finalmente tanti lavori anche nei luoghi a me più cari, quelli appunto del centro storico: Piazza Palazzo, Piazza Duomo, Piazza San Pietro, Via Roma, Santa Giusta, Santa Maria Paganica, Via Garibaldi, collegate tra loro da quell’incantevole reticolato di vicoli che rende questa città unica, inimitabile.
Poi però, camminando sugli amati sanpietrini, tra un ricordo e l’altro, un sospiro, un sorriso e perchè no, anche una lacrima… Penso che quell’incantevole reticolato, dall’abbagliante bellezza, pullulava di gioia e di vita. Principalmente, di studenti universitari. Non c’era un edificio che non ospitava in uno dei suoi appartamenti qualche aspirante medico, ingegnere, filosofo, educatore, economo, linguista, matematico, fisico, biologo, biotecnologo, restauratore. Tutti provenienti dai luoghi più disparati: da Teramo a Pescara, dal Lazio alla Campania, dalla Sicilia alla Sardegna, dalla Turchia alla Spagna. Un’esplosione di identità, di storie, di usanze e di mentalità, che si confrontavano e si arricchivano reciprocamente, 24 ore su 24.
Io ero uno di questi. Ho vissuto per tre anni nella tristemente nota Casa dello Studente in Via XX Settembre, un anno in Via Cavour e l’ultimo anno, quello del sisma, in Via Camponeschi. Non avrei scambiato quella vita per nessun’altra. Non avrei scambiato quelle strade per nessun’altra. Queste emozioni, questi pensieri, li leggo negli occhi di tutti coloro che li hanno vissuti. Probabilmente loro li leggono nei miei.
Ecco perchè alla gioia nel veder riaffiorare importanti tasselli di storia e di vita, fa da contraltare il tormento di non vedere più quella strabiliante energia percorrere quelle arterie, come un’incessante corrente elettrica che le attraversa dando loro la carica e la grinta. Ecco perchè penso: cosa ne sarà domani di tutto ciò?
Ecco perchè mi devasta leggere che gli iscritti all’Università dell’Aquila si aggirano sui 18.000, un numero lontanissimo dai 24/25.000 del 2008-2009 ed ancora più lontano dai 30.000 – di cui 20.000 domiciliati a L’Aquila – auspicati dal rapporto Calafati del 2012 e sottoscritto dall’allora ministro Barca. Peggio ancora se consideriamo che, di questi 18.000, tantissimi non vivono stabilmente a L’Aquila, ma preferiscono viaggiare.
Non sto qui a fare l’elenco delle colpe. Non è questa la ricorrenza adatta. Ma per questo settimo anniversario ho voluto pormi una domanda: cosa mi manca di più? Qual è l’assenza che percepisco più nettamente? Ricordate? 7 anni, bilancio, domanda e risposta. E mi sono dato la risposta. Mi manca L’Aquila città universitaria. Mi manca un’Università accessibile e non elitaria e autoreferenziale. Mi manca una politica, a tutti i livelli, che veda lo studente universitario come una delle più grandi risorse possibili per la città. Sordità, presunzione di onniscienza, disinteresse, approccio pasticcione e metodologicamente esclusivo non portano e non porteranno mai da nessuna parte, specialmente in un luogo dove città e Università sono legate indissolubilmente a doppio filo.
Tra 7 anni, nel 2023, mi piacerebbe poter scrivere l’articolo sul 14esimo anniversario sui gradini di Piazza San Pietro, mentre un centinaio di studenti fa l’aperitivo al bar. Oppure seduto in Piazza Duomo, gustando un gelato e guardando le tante matricole passeggiare dopo le lezioni. O magari adagiato sulla panchina di Piazza Palazzo: alcuni giocano a pallone, altri si prendono una birretta, altri ancora sentono musica e decidono a casa di chi cenare. Questa è L’Aquila di cui mi sono follemente innamorato. Questa è L’Aquila che mi ha regalato gli anni più belli della mia vita, i ricordi più intensi, le emozioni più forti. Questa è L’Aquila che ha accolto, coccolato e formato giovani su giovani.
Questa è L’Aquila, questa è la mia splendida città.
Oggi è questo che mi manca. Più di tutto.
Roberto Naccarella
[31enne vastese. Studente universitario a L’Aquila nel 2009. Dopo la laurea è rimasto a lavorare nel capoluogo. Giornalista di Uninews24.it]