Sette ordinanze di custodia cautelare, con due persone arrestate in flagranza di reato di spaccio e traffico di stupefacenti e due ricercate, oltre a 36 persone denunciate. È questo il bilancio dell’operazione ‘Paccotto’ portata a termine dal comando provinciale di Pescara della guardia di finanza. È stata così stroncata un’organizzazione criminale, formata da rom e albanesi, specializzata nel traffico e spaccio di cocaina ed eroina, molto attiva nel capoluogo adriatico e nelle località costiere vicine. Per l’esecuzione del provvedimento emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari di Pescara, Nicola Colantonio, su richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica, Gennaro Varone, la Guardia di Finanza pescarese, fin dalle prime luci dell’alba di oggi, ha messo in campo oltre 50 militari con l’impiego di 6 unità cinofile, in sinergia con i Reparti del Corpo di Teramo e Ascoli Piceno, località queste ultime ove sono state perquisite anche tutte le abitazioni e le basi logistiche degli arrestati.
Le investigazioni delle Fiamme Gialle pescaresi hanno preso le mosse dal sequestro di circa 50 grammi tra eroina e cocaina, avvenuto a Pescara nel settembre 2014, nel corso di una perquisizione all’abitazione di una donna di etnia rom, luogo già monitorato perché ritenuto una delle centrali dello spaccio in città. “Oltre ai pedinamenti e ai servizi di osservazione, le successive indagini tecniche condotte dai finanzieri della Compagnia di Pescara, eseguite attraverso intercettazioni ambientali e localizzazioni satellitari, consentivano l’acquisizione di significativi elementi che provavano una fitta rete di contatti tra tossicodipendenti e alcuni appartenenti a famiglie rom e, soprattutto, relazioni quasi quotidiane tra questi ultimi e diversi cittadini albanesi, gravati da numerosi precedenti penali in materia di stupefacenti. Decisive sono state le intercettazioni telefoniche, risultate oltremodo difficoltose sia perché le conversazioni avvenivano in codice ed in lingua madre, sia per l’estrema mobilità sul territorio degli indagati. In alcuni casi la banda, per sfuggire ad eventuali intercettazioni, utilizzava schede telefoniche intestate a nomi di fantasia, usava i telefonini per il tempo strettamente necessario per concordare appuntamenti e luoghi di spaccio e ricorreva quotidianamente a sistemi di chat criptati”.
Le indagini hanno fatto emergere una sorta di “patto criminale” tra i rom e gli albanesi finiti sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti: i primi gestivano l’intera rete dello spaccio, riforniti sistematicamente dai secondi, che curavano in particolare gli approvvigionamenti dall’estero. Un fiume di droga arrivava in Italia dalla Germania, dall’Olanda e dall’Albania trasportata da corrieri albanesi.
Gli arrestati, ben consci di essere possibile bersaglio di indagini da parte delle forze di polizia, erano soliti bonificare le autovetture in loro possesso da microspie, microfoni o puntatori satellitari e occultavano le partite di stupefacente in zone disabitate delle campagne pescaresi e teramane, interrando sacchi sigillati di cocaina, eroina e marijuana, nell’attesa di piazzarli sul mercato. Le investigazioni condotte hanno provato come le potenzialità criminali dell’organizzazione fossero notevoli: gli arrestati e i loro complici potevano contare sulla disponibilità di armi, di patenti e carte di identità straniere false, ed erano in grado di alimentare mensilmente le piazze dello spaccio con 2-3 chilogrammi di droghe pesanti e con oltre 5 chilogrammi di marijuana.
Secondo le ricostruzioni degli investigatori le attività criminali consentivano al sodalizio di conseguire profitti consistenti, quantificati, complessivamente, in circa 100.000 euro al mese. In gran parte il contante veniva inviato in Albania occultato tra i bagagli settimanalmente trasportati a mezzo degli autobus che assicurano i collegamenti con il Paese delle Aquile. Complessivamente nel corso dei vari interventi eseguiti, anche durante le operazioni odierne, sono stati sequestrati 5 chilogrammi di stupefacenti, nonché circa 40.000 euro in contanti. L’organizzazione era talmente spregiudicata ed aggressiva che a quasi tutti gli affiliati è stata contestata la “recidiva specifica e reiterata”.