Saranno risarciti i familiari di Silvia D’Ercole e Giuseppe Pirocchi, i coniugi di Scerni morti nel fiume Orta il 1° maggio del 2017. L’offerta di risarcimento è arrivata dal Comune di Caramanico e dall’Ente Parco della Majella nell’udienza di ieri del processo a carico del sindaco di Caramanico, Giuseppe Angelucci, e del direttore del Parco nazionale della Majella, Oremo Di Nino. L’ipotesi di reato, formulata dalla Procura di Pescara, è omicidio colposo.
Ieri l’udienza preliminare dinanzi al gup del Tribunale di Pescara, Nicola Colantonio. Si sono costituiti in giudizio Ente Parco della Majella e Comune di Caramanico, difesi dagli avvocati La Morgia e Margiotta, che “hanno chiesto al gup di aggiornare l’udienza preliminare onde consentire il ristoro dei danni ai figli e ai familiari delle vittime”, racconta l’avvocato Arnaldo Tascione che, insieme al suo collega Giuliano Milia, rappresenta i parenti dei coniugi morti nella scampagnata del Primo Maggio di due anni fa.
L’udienza è stata aggiornata al 12 dicembre.
La vicenda – Silvia D’Ercole e Giuseppe Pirocchi, coniugi di Scerni, il 1° maggio 2017 persero la vita finendo nel fiume Orta [LEGGI]. I due caddero nel fiume nella zona delle Rapide di Santa Lucia, mentre erano in gita nel parco della Majella con i figli e altri familiari. L’ipotesi di reato a carico degli indagati è di omicidio colposo.
Nel corso di una escursione lungo la valle dell’Orta “i due – è la ricostruzione dei fatti riportata dall’Agi, agenzia giornalistica Italia – si sono allontanati dal resto del gruppo e hanno percorso il camminamento roccioso ricoperto di melma. Ad un certo punto, Silvia è scivolata nel fiume e subito dopo anche il marito, nel tentativo disperato di salvarla, finendo entrambi inghiottiti dalle rapide“.
[mic_dx]A seguito delle indagini effettuate dai carabinieri forestali di Pescara, diretti dal tenente colonnello Annamaria Angelozzi, la Procura ha formulato l’ipotesi di omicidio colposo a carico di sindaco e direttore del Parco. Secondo l’accusa, i due avrebbero omesso di “operare un’analisi dei rischi per l’incolumità pubblica nella fruizione del luogo denominato Rapide di Santa Lucia” e di “evidenziare, a mezzo di apposita segnaletica, la pericolosita’ della zona”. Avrebbero anche omesso di “delimitare la zona che conduce dal sentiero denominato A2 alle Rapide Santa Lucia a mezzo di apposito sbarramenti o recinzioni, volti ad inibire l’accesso all’area immediatamente a ridosso delle rapide“.