“Qualcuno ci dica qual è il nostro futuro”. Con la speranza di conoscerlo, i lavoratori, nelle due ultime ore del turno di venerdì 7 giugno, incroceranno le braccia e terranno un presidio davanti allo stabilimento della Cbi in Val Sinello.
È questa la prima azione decisa da maestranze e sindacati durante l’assemblea di ieri pomeriggio. Sono 31 le persone che lavorano nella fabbrica che produce ventilatori e aspiratori industriali da decenni a Gissi, “Da 32 anni produciamo macchine che vengono esportate in tutto il mondo, siamo un’eccellenza”, ci tiene a sottolineare con orgoglio un operaio.
L’azienda fa capo alla sede centrale di Monza, il gruppo è di proprietà di un fondo belga (e non statunitense come era trapelato nelle prime ore) e anche tale circostanza pesa sulle relazioni industriali ridotte al minimo nell’ultimo periodo. Da tempo sindacati e lavoratori chiedono un incontro ai vertici, ma finora non ci sono state risposte in questa direzione. Una situazione singolare sottolineata anche da Angelo Angelucci (Cisl) e Carmine Torricella (Cgil) ieri dopo l’assemblea: “Non ci siamo mai trovati prima d’ora a gestire una situazione simile, manca proprio qualcuno con cui parlare”.
[ant_dx]Gli indizi in possesso dei sindacati sono concreti e alimentano la preoccupazione. La notizia del fermento nello stabilimento abruzzese ha suscitato apprensione anche a Monza dove le sigle sindacali da tempo sono in attesa di poter visionare un nuovo piano industriale e finanziario. Il silenzio, dura da troppo tempo e il timore – che per ora non ha trovato smentite – è che la proprietà abbia deciso di rinunciare al sito gissano nel proprio scacchiere globale che comprende anche Belgio e India.
SCIOPERO E PRESIDIO – “Abbiamo deliberato per un pacchetto di scioperi – dicono Angelucci e Torricella – a partire da venerdì. Dopodomani, alle 15, ci troveremo qui davanti in presidio sperando di dare un segnale alla proprietà. Finora nessuno ha smentito la notizia di una chiusura a fine mese; magari, qualcuno lo farà nelle prossime ore? Se c’è stata questa decisione, vorremmo saperlo per prepararci, accedere agli ammortizzatori sociali, vedere quale potrebbe essere il futuro della fabbrica magari con una riconversione e permettere a queste persone di iniziare a cercare un’altra occupazione”.
La situazione d’incertezza sta logorando i lavoratori (buona parte dei quali ha un’età precoce per accedere alla pensione e critica per cercare una nuova occupazione): “Da tempo ci hanno tolto diverse lavorazioni per darle ad altri stabilimenti, perché? Una eventuale chiusura danneggerebbe anche una ventina di aziende dell’indotto sparse tra Gissi, San Salvo, Val di Sangro ecc.”.